by Redazione | 21 December 2021 | Articoli, Blog, Opportunità
Riuscire nell’impresa di selezionare personale adeguatamente specializzato, in linea con le aspettative aziendali, che sappia lavorare in team portando le proprie competenze e sia ben disposto al miglioramento continuo, è tutt’altro che semplice. Le attività di recruiting e assessment dei candidati, affidate in genere all’ufficio Risorse Umane/HR, possono essere molto complesse, ma allo stesso tempo risultano cruciali per riuscire ad intercettare i talenti sul mercato del lavoro. Infatti, oltre all’investimento sul lavoratore (che è principalmente di natura economica, ma anche amministrativa e psicologica), è necessario impegnare tempo e risorse per svolgere correttamente ed efficacemente l’intero processo di selezione, spesso ripetendolo numerose volte. Non di rado, le aziende non possiedono una struttura HR tale da poter attingere da un bacino sufficientemente ampio e/o mirato di candidati, e necessitano inoltre di supporto nello svolgimento di un processo di selezione completo.
Sono questi i casi tipici nei quali entra in gioco la possibilità di utilizzare il Cosourcing, ossia affidarsi ad una società specializzata nella ricerca e selezione del personale senza dover esternalizzare necessariamente tutte le attività previste, ma riservandosi di svolgere alcuni task specifici (colloqui tecnici, analisi short-list, scelta finale) pur demandando i compiti di ricerca, contatto e prima valutazione dei candidati.
Le 5 fasi principali del processo di recruiting sono:
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- attraction – fase in cui si cerca di attrarre i candidati in ottica multi-canale;
- assessment – fase in cui si valutano i profili con metriche ad-hoc per la posizione richiesta;
- selection – fase in cui vengono individuati i candidati migliori per l’azienda (short-list);
- onboarding – fase in cui il candidato viene assunto e deve essere inserito pienamente in azienda;
- performance – si valuta l’andamento della selezione effettuata tramite l’analisi delle metriche chiave (KPI).
Il Cosourcing può intervenire ed aiutare le imprese in tutte queste fasi: possono infatti essere messi a disposizione strumenti di comunicazione con logica multi-canale (siti specializzati, social network, Università e scuole di specializzazione, conoscenza diretta, ecc.), logiche di selezione su basi di dati molto ampie e tool software per metterle in pratica, strumenti di valutazione con framework oggettivi e codificati, strumenti per la corretta redazione di liste ed elenchi di nominativi potenzialmente adatti alla posizione da ricoprire, supporto alle relazioni interpersonali, anche di tipo psicologico, nonché parametri per l’analisi delle performance del lavoratore.
Senza dimenticare, naturalmente, le interviste o colloqui conoscitivi in cui si capisce chi è la persona che si ha di fronte, quali sono le sue abilità e competenze (comprese le cosiddette soft skill) e se è in linea con la cultura aziendale. Tutto ciò allo scopo, tra gli altri, di velocizzare l’intero processo, ovvero diminuire il “time to hire”. Le società specializzate in recruiting solitamente hanno la possibilità di svolgere, oltre ai colloqui individuali, anche prove pratiche, test psicometrici, attività di gruppo propedeutiche al team-working e assessment dei candidati. Il recruiter professionista è anche in grado di considerare i cosiddetti bias (distorsioni cognitive) nel momento in cui viene in contatto con il candidato, al fine di non compromettere il momento del colloquio.
Cosourcing, quindi, può essere una soluzione ottimale per quelle realtà imprenditoriali che non possiedono un reparto HR molto strutturato, o che necessitano di ricercare profili particolari, con competenze specifiche e mirate, oppure ancora che hanno bisogno di un confronto tra numerosi profili, anche in situazioni di lavoro multi-disciplinari o che richiedono abilità cross (sia di hard che di soft-skill)… ma che allo stesso tempo non sono obbligate ad esternalizzare l’intero processo di selezione e valutazione dei candidati, che viene invece messo in atto di concerto con gli specialisti del recruiting.
Se siete interessati nel Cosourcing per le attività di selezione e valutazione di candidati, non esitate a contattarci!
by Redazione | 16 December 2021 | Articoli, Blog
Lo scorso 28 ottobre, durante la conferenza Connect trasmessa in streaming, Mark Zuckerberg ha presentato “The Metaverse and how we’ll build it together” (qui la diretta). L’evento ha suscitato grande interesse non solo per coloro che desiderano al più presto provarlo, ma anche per tutte quelle aziende che vedono un’opportunità nell’utilizzo di questa piattaforma, essendo già pronte ad effettuare ingenti investimenti. D’altronde, l’idea di una realtà digitale in cui poter interagire con i propri clienti era già emersa in passato ed ora, con l’annuncio del metaverso non è altro che una conferma.
Stando alle parole di Zuckerberg, esso si presenta come una realtà virtuale dove “riusciremo a sentirci presenti come se fossimo fisicamente vicini a prescindere dalla distanza reale”. L’accesso sarà consentito attraverso un proprio avatar che potrà interagire con gli altri utenti ed immergersi in “nuove esperienze incredibili ed entusiasmanti” sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista lavorativo. Infatti, tra le molte funzionalità, come afferma il fondatore di Facebook, vi è la possibilità di creare luoghi e spazi che rispecchiano l’ufficio perfetto dove poter concentrarsi al massimo.
Se si pensa a come gran parte delle aziende, soprattutto a seguito della pandemia, stiano continuando ad adottare un sistema ibrido di lavoro, la scelta di sperimentare una piattaforma in grado di creare “una sensazione di presenza” può essere efficace nello svolgimento di riunioni, collaborazioni e progetti a distanza. D’altra parte, si è già avuto modo di vedere come, con lo smart working, molti lavoratori riescono ad avere un migliore equilibrio vita-lavoro e gli impatti ambientali, dovuti agli spostamenti, sono diminuiti. Negli ultimi anni, infatti, molte aziende hanno avviato un processo di digital transformation (qui il nostro articolo a riguardo) volto ad implementare i sistemi organizzativi al fine di creare modelli più sostenibili e interconnessi tra di loro.
Ciò spiega in parte il motivo per cui, alcuni colossi del settore tech come Microsoft, Google e Nvidia (azienda che sviluppa processori grafici per il mercato videoludico e professionale) abbiano già investito nel metaverso il cui valore di mercato, secondo una stima di Bloomberg Intelligence (cfr. Bloomberg Professional Services) potrà valere 800 miliardi entro il 2024. Se si considera poi, la possibilità di poter acquistare attraverso gli avatar biglietti per eventi, vestiti e prodotti di vario genere, è chiara la scelta di aziende come Nike e Adidas (e non solo) di investire in questa piattaforma.
Il settore moda è stato particolarmente influenzato dalle sfide messe in atto dalla pandemia. Infatti, la mancanza di eventi in presenza come la presentazione di nuove collezioni o semplicemente l’impossibilità di potersi recare negli store fisici e provare il prodotto, ha spinto tali aziende a ridimensionare il rapporto con il cliente. Di fatto, ciò che da sempre si cerca di raggiungere, è riuscire a creare una forma di coinvolgimento che va oltre il semplice acquisto. Se da un lato si è visto come la strategia omnichannel (qui il nostro articolo sull’argomento) sia in grado di soddisfare il consumatore e ottimizzare il processo di vendita, dall’altro si è assistito ad un cambiamento del ruolo dei negozi fisici che puntano a creare un’esperienza unica capace di suscitare emozioni nei confronti del cliente.
Le emergenze dovute al covid-19 e le nuove prospettive in tema digitalizzazione e sostenibilità hanno determinato per il settore fashion nuove strategie comunicative e l’ingresso in nuovi settori di mercato. Negli ultimi due anni, infatti, alcuni grandi marchi di abbigliamento tra cui Gucci, Louis Vuitton e Balenciaga sono entrati nel mondo del gaming, vestendo, rispettivamente, personaggi digitali di Roblox, League of Legends, e Fortnite. Se da un lato lo scopo è offrire un’esperienza più immersiva e permettere all’utente di avere un contatto più stretto con il brand, dall’altro risulta essere un ottimo strumento di marketing per l’azienda stessa, che in tal modo può intercettare più facilmente il target di suo interesse. Si pensi, ad esempio, alla generazione Z che è cresciuta con le nuove tecnologie, attenta alle tematiche sociali e alla ricerca di autenticità e di nuovi trend da sperimentare.
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione è la diffusione degli NFT, ovvero i token digitali, che oltre al mondo dell’arte, stanno interessando i mercati della moda e del design. Attraverso questo strumento e con l’aiuto della blockchain, le maison sono in grado di permettere al cliente di acquistare abiti digitali unici e originali da poter indossare in varie occasioni nel mondo virtuale. In tale modo, si viene a incrementare il valore della brand awareness interagendo con la propria community in maniera più profonda.
Sulla base di queste osservazioni, è evidente come l’ingresso nel metaverso da parte del settore moda avvenga in modo spontaneo e naturale. Si tratterebbe, infatti, di proseguire quella strada verso il mondo digital e virtuale intrapresa recentemente. Oltre al già citato Gucci che ha avuto 19 milioni di visitatori nella mostra virtuale “Gucci Garden” attraverso il metaverso di Roblox (cfr. Business of Fashion), altri importanti brand si stanno muovendo all’interno di questo nuovo sistema. Tra questi, vi è il gruppo OTB che, da poco, ha comunicato il lancio BVX (Brave Virtual Experience), un nuovo Centro di Competenza interamente dedicato allo sviluppo di progetti e contenuti destinati al mondo virtuale.
Tutto ciò rappresenta una nuova fase e una sfida per le aziende del settore moda che dovranno adattarsi ad una realtà sempre più liquida e in costante mutamento cercando di mantenere intatto il rapporto con il cliente. Questo richiede una maggiore flessibilità sia a livello strutturale che manageriale. Si pensi, semplicemente, ai processi produttivi che potrebbero cambiare dal momento che a fianco delle collezioni fisiche saranno presenti quelle digitali.
In generale, tuttavia, ci sono ancora alcuni aspetti che necessitano di essere presi in considerazione. Primo fra tutti, si pone la questione degli effetti a lungo termine sia a livello individuale sia collettivo che l’utilizzo di questa realtà virtuale può comportare. Se da un lato rappresenta un nuovo mercato in cui poter creare nuovi posti di lavoro e margini di profitto, dall’altro è fondamentale tenere presente gli effetti psicologici sulle persone immerse in un mondo che reale non è. Salvaguardare la salute mentale sia del singolo individuo che quella collettiva, risulta essere, quindi, una prerogativa rilevante. Richiamando il noto romanzo di Aldous Huxley, l’idea di un “Mondo Nuovo” che per alcuni può sembrare distopico è, di fatto, già realtà sebbene ci vogliano ancora diversi anni affinché ognuno di noi possa sperimentare direttamente l’ormai famoso metaverso.