Demand Planning: linee guida per la resilienza

Demand Planning: linee guida per la resilienza

L’emergenza Covid-19 rende evidenti gli impatti negativi delle crisi sull’operatività delle aziende manifatturiere relativamente all’organizzazione della loro supply chain, ed in particolare sulla previsione della domanda aggregata, inducendo modifiche alle strategie di demand planning.

Laddove i brand non possono direttamente prevedere gli shock di mercato, v’è comunque la possibilità di un riposizionamento strategico mirato a ridurre il più possibile i costi dovuti all’interruzione prolungata delle normali dinamiche di vendita, nonché le tempistiche per un pieno recupero (in assenza di ulteriori perturbazioni, si stima che circa il 60% delle imprese abbia le potenzialità per un ritorno alla normale operatività entro 6 mesi, ed oltre l’80% entro un anno). Cionondimeno, emerge l’urgenza sempre maggiore di dotarsi di un sistema di operations efficace e dinamico, soprattutto per quel che concerne la pianificazione degli approvvigionamenti, in quanto le crisi sistemiche, specialmente quando imprevedibili, coinvolgono l’intera filiera produttiva, ed anche aziende ben organizzate possono trovarsi in difficoltà in conseguenza della pur temporanea crisi dei loro fornitori e della variabilità della domanda dei prodotti nel breve e medio periodo.

Ma diventare più resilienti alle fluttuazioni di mercato non deve significare necessariamente una diminuzione dell’efficienza produttiva, anzi: le imprese hanno oggi l’opportunità di uscire dalla crisi più agili ed innovative, in particolare grazie alle nuove tecnologie messe al servizio di una corretta pianificazione, laddove venga perseguito l’obiettivo di rendere quest’ultima meno rigida, più dinamica e snella, ed in tal modo meno vulnerabile alle criticità dei cambiamenti repentini (soprattutto considerando che gli shock della produzione globale stanno diventando più intensi e frequenti, in conseguenza di incertezze geopolitiche, attacchi dei sistemi digitali ed altri fattori imponderabili come il Covid-19). Infatti i network produttivi allargati, laddove le supply chain sono più vaste e globali, offrono giocoforza maggiori appigli alla diffusione di crisi sistemiche. Quelle di durata superiore ad un mese occorrono ormai, in media, quasi ogni 3 anni, e ogni 5-7 anni quelle superiori ai 100 giorni; sebbene non siano sempre prevedibili è bene che le aziende si premuniscano di contromisure razionali per fronteggiarle. Ciò vale specialmente per alcune realtà manifatturiere che sono guidate da variabili artistiche e stilistiche che influenzano in modo determinante la domanda e che sfruttano una catena del valore incentrata sulle lavorazioni specializzate, come ad esempio le aziende del fashion e in generale del lusso.

Nella maggior parte dei casi, il demand planning si affida all’analisi dei dati storici per sviluppare i suoi modelli previsionali, impattando così sulla produttività mediante l’organizzazione della produzione. Le attività chiamate generalmente operations sono, da questo punto di vista, strettamente collegate tra loro. Interruzioni nella supply chain, indipendenti dall’operatività quotidiana della manifattura, possono risultare particolarmente disruptive, specialmente quando gli andamenti della domanda non seguono pattern prevedibili con sufficiente anticipo. In tali casi, la vulnerabilità delle imprese ai cambiamenti può venire amplificata da scelte strategiche e operative limitanti, come ad esempio l’eccessivo affidamento alla produzione just-in-time, un insufficiente pool di fornitori o addirittura la presenza di fornitori insostituibili, un livello troppo alto di customizzazione del prodotto, una spiccata concentrazione geografica dell’export e/o della catena produttiva.

Se si vuole evitare una corsa alla delocalizzazione degli impianti produttivi, è possibile abbracciare riforme atte ad aumentare la resilienza, che possono includere ad esempio un rafforzamento della capacità di gestione del rischio, una maggiore ridondanza nella rete di fornitura e logistica, un aumento delle scorte (laddove possibile), investimenti per livellare la complessità del prodotto finale o per incrementare la flessibilità della produzione nei vari stabilimenti.

Tuttavia, nei tempi più recenti, si tende anche a scommettere su soluzioni più rapide e con un maggiore rapporto tra efficacia e costo/difficoltà del cambiamento.

Si tratta, nella fattispecie, di soluzioni che incidono sull’organizzazione del lavoro e che fanno quasi sempre uso si nuove tecnologie. Migliorare la capacità operativa e finanziaria per rispondere agli shock e riprendersi velocemente da una crisi passa necessariamente per una ristrutturazione organizzativa in ambito operations.

In particolare, per il demand planning gli esperti individuano alcune tattiche per aiutare nella gestione della produzione e delle scorte:

  1. Aggiustare la frequenza delle pianificazioni di produzione e puntare su data analytics e business intelligence: è necessario aumentare la cadenza degli aggiustamenti della pianificazione, che può essere rivista anche 2-4 volte ogni mese (a seconda del settore); contestualmente, ristrutturare i processi e sfruttare le nuove tecnologie digitali, in un’ottica di monitoraggio continuo.
  2. Focalizzare gli sforzi sui core products e sui clienti principali: molti grossi brand e numerosi rivenditori effettuano tagli alla numerosità degli SKU e riducono all’essenziale le linee di prodotti durante i periodi di crisi, per poi aumentare di nuovo a seconda della domanda, in modo dinamico e veloce.
  3. Inventare qualcosa di nuovo: se è difficile gestire gli approvvigionamenti classici, può essere utile offrire al consumatore alternative rapide, la cui produzione possa risultare più spedita e semplice adattandosi a ciò che è più facile reperire e trasformare in fasi anomale di mercato. Questo aspetto dev’essere limitato a pochi prodotti, la cui creazione dev’essere pianificata in modo snello, ma il suo impatto sulle operations determinerà miglioramenti anche nel medio/lungo periodo; si tratta di sfruttare la crisi come un’opportunità per introdurre logiche Agile.

Migliori strategie di pianificazione degli approvvigionamenti e della produzione passano necessariamente attraverso l’uso di strumenti innovativi: non si può prescindere in questi casi dalla digital transformation, implementando, oltre a nuovi processi, anche tecniche più sofisticate di data analysis, big data management e business intelligence, che sono attualmente il mezzo più efficace per rafforzare la resilienza entro scenari di incertezza delle forniture e, soprattutto, della domanda, sempre alle prese con le priorità momentanee dei consumatori, figlie oltretutto dei loro stili di vita e visioni del mondo in costante cambiamento.

L’introduzione di questi strumenti innovativi però non deve essere vista come l’unica ancora di salvezza: l’integrazione di PLM, ERP, MRP e MPS e delle logiche di gestione delle operations lungo tutta la supply chain (comprendendo fornitori, terzisti e canali distributivi) rimane la base su cui innestare una serie di attività e strategie mirate a rendere la catena manifatturiera più resiliente, e proprio per questo, più efficace ed efficiente.

Vincenzo Morello

Vincenzo Morello

Consulente MAS

Si occupa di Operations, Digital Innovation e Project Management nell’ambito di programmi di innovazione aziendale nei settori del fashion, del lusso e della produzione manifatturiera. Precedentemente si è dedicato ad attività di integrated reporting ed ha occupato posizioni di responsabilità nel settore retail/commerciale del mercato Fashion. E’ laureato in Business Administration presso l’Università degli studi di Padova.
Il vero costo dell’innovazione 4.0

Il vero costo dell’innovazione 4.0

L’innovazione 4.0 è la corsa all’oro degli ultimi anni, con le aziende che cercano i software e le tecnologie più recenti da implementare, alla ricerca di un vantaggio competitivo sia operativo sia nei confronti del mercato. Tuttavia, con l’obiettivo di massimizzare le prestazioni operative e ridurre al minimo gli sprechi, c’è una componente tecnologica che spesso viene tralasciata: il capitale umano.

Le persone, di fronte alle novità, si distinguono in due grandi categorie: coloro i quali cercano e apprezzano il cambiamento e quelli che lo rifiutano totalmente; quest’ultima categoria è ovviamente la più comune, non solo in coloro che sono più prossimi alla tanto agognata pensione, ma anche tra i giovani che cercano di scalare la piramide aziendale progetto dopo progetto. L’innovazione, mascherata da nuovo software, tecnologia, processo, best practice o teoria filosofica, porta con sé il cambiamento come componente fondamentale. Questo è il motivo per cui ogni progetto di implementazione innovativo dovrebbe tenere conto della gestione del cambiamento e dei suoi impatti organizzativi.

Un’innovazione è “l’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi”. Innovare vuol dire quindi introdurre modi diversi di fare le cose e di pensare. Quindi, innovare, in una qualsiasi organizzazione significa cambiare il modo in cui le persone fanno il proprio lavoro e il modo in cui pensano al proprio lavoro, o al loro atteggiamento e ai loro obiettivi di carriera. Tutto questo, ça va sans dire, è più facile a dirsi che a farsi.

Durante la valutazione di un nuovo progetto, le aziende tendono a prendere in considerazione l’investimento finanziario iniziale e le successive riduzioni dei costi e/o maggiori ricavi e margini, trascurando la variabile umana. L’innovazione ha un suo costo intrinseco, cioè affrontare un cambiamento, cosa sempre stressante e più o meno difficile a seconda della cultura e dei valori individuali e organizzativi. D’altro canto, l’innovazione dovrebbe essere vista come un’opportunità per migliorare le skill (soft e non) delle persone, rivedere i processi aziendali e promuovere una cultura di gestione del cambiamento nell’intera organizzazione.

Ma quali sono le alternative disponibili? La prima, e forse peggiore, è rifiutare completamente l’innovazione e sperare di sopravvivere in un’economia in continua evoluzione. La seconda, più comune, è accettare il cambiamento e l’innovazione, ma sperando che un investimento finanziario costringa l’organizzazione a evolvere in qualche modo. La terza, e più preferibile, è quella di abbracciare l’innovazione, sviluppando una forte capacità di gestione del cambiamento e considerando il capitale umano come un pilastro fondamentale per le attività di project management.

Qual è il rovescio della medaglia? Come affermato nel modello “ASA” di Benjamin Schneider:

  • le persone sono attratte da organizzazioni i cui membri sono simili a loro stessi in termini di personalità, valori, interessi e altri attributi;
  • le organizzazioni hanno maggiori probabilità di selezionare coloro che possiedono conoscenze e abilità simili a quelle possedute dai loro membri esistenti;
  • col passare del tempo, coloro che non si adattano bene hanno maggiori probabilità di andarsene.

Ogni progetto (o processo) innovativo farà allontanare alcune persone e ne attirerà altre. Questo è di per sé uno degli aspetti più importanti dell’innovazione: costringe l’organizzazione a cambiare la propria cultura, ad evolversi e ad adattarsi ad una nuova dimensione di sé.

Per concludere, nella valutazione di qualsiasi progetto/investimento innovativo, le aziende non dovrebbero dimenticare i costi legati a cambiamenti stressanti e la funzione HR dovrebbe essere pronta a reagire e guidare l’organizzazione nella giusta direzione, perché i benefici dell’innovazione sono infiniti e stare fermi non è più un’opzione disponibile.

 

BIBLIOGRAFIA

  • “ASA model (Attraction-selection-attrition)” tratto da “People make the place” di Benjamin Schneider (Personnel Psychology, 1987).
Vincenzo Morello

Vincenzo Morello

Consulente MAS

Si occupa di Operations, Digital Innovation e Project Management nell’ambito di programmi di innovazione aziendale nei settori del fashion, del lusso e della produzione manifatturiera. Precedentemente si è dedicato ad attività di integrated reporting ed ha occupato posizioni di responsabilità nel settore retail/commerciale del mercato Fashion. E’ laureato in Business Administration presso l’Università degli studi di Padova.